Dell’India e di Varanasi hanno scritto persone di uno spessore spirituale e culturale ben più alto del mio. Quelli che seguono sono soltanto i miei appunti di viaggio: delle riflessioni annotate via via che le domande (spesso senza risposta), le suggestioni, gli impatti visivi diventavano talmente intensi da spingermi a fermarli con parole e foto.
Varanasi è stata l’ultima tappa del mio secondo viaggio in India e ha cristallizzato le tante emozioni che avevo raccolto durante il cammino.

La prima impressione

Varanasi, vecchia di 4000 anni. Varanasi, la città più sacra dell’induismo, l’essenza stessa dell’India e della sua sacralità, che si fonde e si confonde con la vita quotidiana.
E la promiscuità caotica che inonda i ghat sulla sponda occidentale del Gange è una delle immagini più affascinanti e insieme più profondamente sconvolgenti dell’India.

Qui, a Varanasi, si comprende che il vero senso del credere è qualcosa di diverso da quello che è per noi in Occidente: credere è credere e basta, con una fede assoluta, senza vedere e senza sapere e senza neanche cercare di capire.

L’alba sul Gange

«In India si dice che l’ora più bella è quella dell’alba, quando la notte aleggia ancora nell’aria e il giorno non è ancora pieno, quando la distinzione tra tenebra e luce non è ancora netta e per qualche momento l’uomo, se vuole, se sa fare attenzione, può intuire che tutto ciò che nella vita gli appare in contrasto, il buio e la luce, il falso e il vero non sono che due aspetti della stessa cosa. Sono diversi, ma non facilmente separabili, sono distinti, ma non sono due.»
Tiziano Terzani «La fine è il mio inizio»

All’alba, sulle acque del Gange a Varanasi, questa intuizione diventa una verità quasi palpabile.
Si arriva nel buio, che a poco a poco si dissolve in una nebbia opalescente e livida come la morte.
Poi, lentamente, l’aria si tinge di giallo e di rosa, mentre l’acqua del fiume manda bagliori d’argento e di fuoco.
In una metamorfosi di colori e di luce, il sole sta risorgendo.
Non è più notte.
Non è ancora giorno.

All’alba, sulle acque del Gange a Varanasi, è quasi impossibile separare la disperazione dalla speranza, la vita dalla morte, il sacro dal profano.
Nel fiume, c’è chi si insapona e c’è chi prega, c’è chi si bagna per purificarsi l’anima e chi beve l’acqua fetida.
Ci sono le donne, più colorate dell’arcobaleno, che lavano e stendono il bucato.
Ci sono i bambini vestiti di stracci, nudi di stracci, che giocano con l’acqua.
Ci sono le pire su cui bruciano i cadaveri e le ceneri sparse nelle acque, per liberarsi dal ciclo delle rinascite e non dover più tornare a vivere.
E tutto è così mistico e così profondamente intimo che ci si sente insieme intrusi e indelebilmente coinvolti.

Il gange e Varanasi: così saturi di vita e così saturi di morte

«Da qui si vede il mondo come lo deve vedere Iddio… e si capisce che non possa occuparsi di tutto quello che succede.»
Tiziano Terzani «Un altro giro di giostra»

Poi, mentre il sole prosegue il suo cammino, si torna lentamente alla realtà.
Il Gange non è più d’argento adesso, è acqua putrida e maleodorante; i mendicanti accerchiano i turisti, i ciarlatani si mischiano agli asceti e ai sacerdoti.
Eppure la meraviglia continua nei piccoli gesti che uniscono indissolubilmente la gente dell’India alla loro «Grande Madre».
Anche nella luce cruda del giorno, il Gange riesce a fondere la materia con lo spirito, il presente con l’eterno.

L’interrogativo più grande

«Che ci sia davvero una grande saggezza nel pensiero orientale secondo cui ciò che è fuori di noi è immutabile e che la sola speranza è cambiare dentro noi stessi?»
Tiziano Terzani «Un altro giro di giostra»

Ancora oggi, in questo Paese ormai altamente tecnologico e globalizzato, si riesce a percepire la presenza costante del Divino, di un qualcosa di soprannaturale e ineluttabile che si fa beffe dell’uomo, invertendo i parametri dei suoi valori fino a rendere sterile la ribellione e coraggiosa la resa.

L’India è insieme una carezza e una frustata, che colpiscono al cuore con la stessa intensità.
Non fa niente per convincere e non cerca di spiegare, eppure riesce a cambiare la prospettiva con cui si guardano le cose: amplifica e ridimensiona, esalta e annienta.
Per ogni risposta che dà, l’India pone mille domande. E molte di queste domande portano proprio all’interrogativo più grande, a quello che Terzani è riuscito a sintetizzare così efficacemente nelle sue parole.

Non basterebbe una vita, a un occidentale, per comprendere l’India.
Io, pur con tutta la mia voglia di conoscere e capire, sono riuscita a intravedere soltanto qualche sfumatura della sua anima più antica e profonda.
E, attraverso di essa, anche a scoprire alcuni lati nascosti della mia.