Potrei dividere i miei viaggi in capitoli, come faccio con i miei romanzi. E ogni capitolo non parlerebbe di un Paese singolo o particolare, ma di quello che certe mete – lontane e diverse tra loro – hanno contribuito a trasmettermi. Sarebbe un’impresa impegnativa, però, perché dovrei parlare anche della religione, per esempio: rigorosamente al singolare, in quanto intesa come filosofia di vita, non come Credo assoluto. E poi dovrei parlare dei deserti, dove mi sento un bruscolo nell’infinito, senza però sentirmi mai persa o sola. E ci sarebbero diversi capitoli sulla Natura, i cui miracoli rappresentano la prova più tangibile dell’esistenza di un Essere Divino.
Vabbè, le cose da dire sarebbero tante e forse, prima o poi, quel romanzo lo scriverò davvero, ma per adesso mi limito a trascrivere i miei appunti di viaggio, quelli che butto giù, a caldo, mentre sono in giro.
Come questi pensieri associati all’aurora boreale:

La Lapponia Finlandese: Paesaggi di un bianco abbagliante e cieli coloratissimi

Fa meno freddo di quanto mi aspettassi. Oggi siamo a -22, ma qui non c’è l’umidità che c’è a Firenze e io sono bene equipaggiata: tre strati di maglie e felpe sotto alla tuta termica, da sbarco sulla luna, due paia di calzini, doposci, cappello con paraorecchie sopra al passamontagna. E tre paia di guanti, da sfilare facilmente perché, per maneggiare la macchina fotografica, dovrò accontentarmi di quelli di seta, che aderiscono alle dita come una seconda pelle.
Siamo nel Paese di Babbo Natale e la magia delle fiabe si fonde con quella, ancora più sorprendente, della Natura.
Durante il giorno, l’aria è limpida e trasparente come un vetro azzurro e il sole fa brillare la neve come se avesse dei diamanti incastonati.
Adesso il cielo è nero, con le stelle lontane e uno spicchio di luna: la serata giusta per ammirare l’aurora boreale, ci hanno detto, ma lo avevano detto anche ieri e la signora della notte non si è presentata.

Ho letto poco delle spiegazioni scientifiche associate all’aurora boreale, perché voglio scoprirla con la stessa inconsapevole meraviglia con cui la guardavano gli antichi popoli nordici che, nei secoli, vi hanno intessuto miti e leggende.
Gli Inuit vi vedevano i loro defunti, i Sami «la luce che può essere ascoltata», i Vichinghi i riflessi delle armature delle Valchirie, i Finlandesi le scintille generate dalla coda della «volpe di fuoco».

Fermiamo la motoslitta vicino a un lago ghiacciato, con gli abeti sullo sfondo, e – prima ancora che io riesca a fissare la macchina fotografica al cavalletto – un bagliore verdastro appare nel cielo. Lo scruto per qualche minuto, delusa dalla mancanza di intensità di quel chiarore, quando un’enorme spirale di un verde fosforescente brilla nel nero della notte. Si muove, veloce, e la spirale diventa un uccello con le ali spiegate e poi una piuma gigantesca con i bordi sfrangiati. Il cielo dietro agli abeti si tinge di un rosa sempre più intenso. La luce verde forma una chiave di violino, si scompone in un gioco di nastri, mentre i rosa e i viola dello sfondo si gonfiano fino a fondersi con questi incredibili fuochi d’artificio.

Le luci illuminano la notte artica per quasi un’ora e io resto lì a guardare, completamente ipnotizzata. Quando finalmente mi riscuoto, afferro la macchina fotografica e, dimenticando il cavalletto, scatto qualche foto a mano libera, giusto per catturare un ricordo delle forme, dei colori, dei movimenti di questa meraviglia. Ma è come cercare di fermare in una foto il volo di un uccello

Poi, all’improvviso, le luci si spengono e il cielo torna nero come l’inchiostro, con i puntini lontani e luminosi delle stelle. Solo adesso mi accorgo di sentirmi tutta intorpidita per il freddo e per l’emozione e mi chiedo se non sia stato tutto un sogno.
Di una cosa sono certa: non leggerò le spiegazioni scientifiche di questo fenomeno neanche al mio ritorno. Per me, l’aurora boreale è stata il miracolo delle luci che danzano nel cielo, uno spettacolo così sorprendente da parere un miraggio. Ed è così che voglio ricordarla.