Tutti i grandi sono stati bambini una volta, diceva il Piccolo Principe. Ma ci sono anche quelli che bambini non lo sono stati mai.
Una piccola figlia del vento
La vedo venirmi incontro.
Avanza veloce e scomposta, e fa tenerezza vederla camminare in quello strano passo di danza, i piedi attenti a non calpestare la gonna che sfiora il selciato e le mani che volano su e giù: su a sistemare lo scollo della maglietta troppo grande e giù a raccogliere le pieghe della sottana per sollevarne l’orlo. Abiti indossati troppe volte da troppa gente, colori logori e sbiaditi, macchie di sporco e di stanchezza. E braccia esili come fuscelli, testa affondata nelle spalle, piedi minuti in scarpe troppo grandi.
Un piccolo e patetico spaventapasseri. Una maschera di un mesto carnevale.
Un sorriso largo che mostra i denti bianchi, e la mano piccola e bruna celata da un giornale che cerca la mia borsa.
Le afferro la mano che già stringe il portafoglio, ed è così morbida e calda quella mano che mi sembra di intrappolare un passerotto.
“Lasciami signora, ti prego. Scusa signora, sono piccola” piagnucola, mentre cerca di liberarsi dalla mia stretta.
La guardo negli occhi, due laghi neri avvezzi a straripare in lacrime di convenienza, che velano senza nascondere la sfida, la rabbia, la scaltrezza; uno sguardo che contraddice le suppliche, che smentisce la paura, che sconfessa il pentimento. Una sfrontatezza ostile che nega l’infanzia.
Allento un poco la stretta e lei fugge via, le trecce nere che disegnano cerchi veloci nell’aria.
Pochi metri di corsa e si volta a guardarmi; adesso ha l’infanzia negli occhi, e ride felice di avermi beffata.
Non sa che è a lei che hanno rubato di più.