Ho scritto The dark side of the dream nel 2009, dopo avere ascoltato la canzone “People Help the People” di Cherry Ghost, che – con note e parole struggenti – dipinge il lato marcio della Grande Mela, il tradimento del Sogno Americano.
L’anno seguente ho presentato questo testo al Concorso “Brevis – Premio Nazionale di Scrittura Essenziale” per racconti, poesie, endecasillabi, vignette satiriche, SMS, haiku e cortometraggi, dove è stato premiato sia come miglior racconto che come vincitore assoluto di tutte le categorie.
È stato il mio primo racconto pubblicato in un’antologia e lo rileggo adesso, a distanza di tanti anni, con la gioia e la malinconia che si associa a un bel ricordo…

The dark side of the dream

È una notte come tante a Manhattan.
Echi di sirene ululano rabbiose su a nord, verso Harlem; qualche taxi striscia veloce sferragliando sull’asfalto; i neon dei bar sbraitano “Open 24 Hours” e poi, più sommessamente, invitano: “Venite, entrate, trascinate qui dentro la vostra disperazione”.
Un ubriaco vomita sul marciapiede, sputa vino e bestemmie, succhi gastrici e rabbia. Una puttana barcolla su delle patetiche zeppe dorate, lo sguardo vuoto e gli occhi ricolmi della stanchezza di quella notte e di quella vita.

Tra poco sarà l’alba, pensa l’uomo, e rivede un’alba di tanti anni prima, e risente l’odore di gasolio e di speranza di quell’autobus che secoli fa l’ha strappato all’incubo di Tuscaloosa, Alabama per consegnarlo al sogno di New York, NY.

Lì i neri li trattano come i bianchi, gli avevano detto. E lui ci aveva creduto.

Il cielo si tinge di rosa e l’alba si apre piano a un nuovo giorno.
Il ventre sterile della metropolitana partorisce greggi di esseri umani che si avviano al lavoro: mandrie di tutte le razze, ingorghi di sfrenate ambizioni e di ataviche rassegnazioni.

È facile trovare un lavoro a New York, gli avevano detto. E lui ci aveva creduto.

Il sole è alto nel cielo adesso. Rumori di traffico e calpestii di gente cieca e sorda, che ha un posto dove andare e qualcuno che li aspetta.

È aperta New York, è generosa, gli avevano detto. E lui ci aveva creduto.

Poco più in là un accattone recita la sua litania: “Help me to survive, help me to survive.”
Le conosce anche lui quelle parole, le conosce bene, le ha pronunciate migliaia di volte, ma adesso non dovrà ripeterle più. Mai più ormai, purtroppo o finalmente.

Il suo corpo è scosso da un tremito, anche il sole l’ha abbandonato; non ne sente più il calore, non ne vede più la luce.
Solo freddo e buio. E poi solo buio.

Si muore per la strada a New York, soli come cani, gli avevano detto. Ma lui non ci aveva creduto.