Capitolo 17 – Le tessere mancanti

Faceva caldo, un caldo umido e opprimente senza neanche un refolo di vento. La donna camminava lesta lungo i muri dei vicoli e sentiva il sudore colare lungo la schiena e sul viso intabarrato nella sciarpa a quadri. Ansimava.

Alzò gli occhi per ritrovare il profilo familiare e rassicurante del campanile che emergeva tra i tetti, così massiccio e imponente da parere la torre di un castello.

Un’ultima svolta e si trovò davanti alla facciata della chiesa. Salì in fretta i tre gradini, inciampando nella pietra sconnessa e consumata dal tempo, aprì il portone di legno, si guardò alle spalle ed entrò, serrando veloce la porta dietro di sé.

Ormai conosceva ogni angolo di quella chiesa, e le sensazioni erano sempre le stesse eppure sempre nuove, assaporate lentamente, via via che gli occhi si abituavano all’oscurità.

All’inizio, c’era solo l’odore dei fiori e delle candele, e la luce lontana dell’altare in fondo alla navata. Poi si delineavano le pietre delle pareti, le statue nelle nicchie e i quadri rischiarati dai lumini. Si sedeva sempre sulla stessa panca, quella vicina al dipinto della Madonna col Bambino. Le trasmetteva un senso di pace, come se quello sguardo dolce fosse rivolto un po’ anche a lei.

Qualche volta dava un’occhiata al confessionale, di un legno quasi nero, con la tendina viola, e si diceva che forse, nascosta dietro a quella grata, sarebbe riuscita a sciogliere il nodo che da tanti anni sigillava il suo segreto.

Poi, però, distoglieva gli occhi, spaventata anche solo dal pensiero, e rimaneva seduta, immobile e in attesa, senza inginocchiarsi e senza pregare.

Il vecchio era sempre puntuale. Usciva dalla sagrestia, la salutava con un cenno del capo e si avvicinava all’altare con una genuflessione e un segno della croce: controllava i fiori, aggiungeva acqua e mazzi nuovi. Lei spiava quei gesti e traeva conforto dalla serenità della sua fede.

Il cigolio di una porta la fece sobbalzare. Si girò e vide un prete che veniva verso di lei, dal fondo della chiesa, con la tonaca nera che frusciava nel silenzio. Aveva il viso rotondo, con le guance paffute da bambino, incorniciato da una barbetta candida. Le parve che le sorridesse da lontano. Lei lo guardò, poi guardò il confessionale.

“Forse è arrivato il momento”, pensò, e l’agitazione e la speranza le tolsero il respiro. Tremava tutta.

Dette uno sguardo alla Madonna col Bambino. “Aiutami”, le gridò in silenzio, e la dolcezza che lesse nei suoi occhi la incoraggiò a provarci. Fece per alzarsi, ma le gambe rimasero inchiodate al pavimento. Non riusciva a muoversi.

Il prete era a pochi passi da lei, adesso. Aveva gli occhi buoni e l’aria indulgente di chi ne ha viste tante. La speranza si mutò in certezza.

“Voglio perdonare e perdonarmi”, gli avrebbe detto, e sarebbero entrati nel confessionale, lei dietro alla grata e lui dietro alla tendina viola. Gli avrebbe raccontato della paura e della vergogna e dell’odio, e lui l’avrebbe assolta e consolata.

Puntò i piedi contro il pavimento, con forza, e costrinse le ginocchia a stendersi. Faticosamente, con tutti i nervi tesi, riuscì ad alzarsi.

Il prete era quasi arrivato alla sua panca e continuava a sorriderle, come per rassicurarla.

Stava per muovere il primo passo verso di lui quando il tonfo improvviso di un vaso caduto di mano al sagrestano rimbombò nel silenzio. Il prete si voltò di scatto, allarmato, e con un rapido dietrofront trotterellò verso l’altare, voltandole le spalle.

“L’hanno fatto apposta”, pensò la donna, e provò un odio feroce per il prete e per il sagrestano e per la loro fede bigotta, che amava solo gli altari.

Guardò la Madonna col Bambino, che continuava a sorridere, indifferente al suo grido d’aiuto. Tremante di rabbia, scappò correndo dalla chiesa e spalancò il portone.

Niente era cambiato.

Fuori, c’erano ancora la luce abbagliante del giorno e i rumori assordanti della vita. Dentro di lei, ancora solo odio e disperazione.